lunedì 16 giugno 2008

In ricordo di mio papà, Carlo Albertini

Nel Giugno 2003 il Centro Servizi Formativi di Biella è stato intitolato alla memoria di mio papà, Carlo Albertini, Direttore di ENAIP Piemonte per numerosi anni.
Per ricordarne la sua figura le ACLI di Biella hanno organizzato un incontro lo scorso venerdì 13 giugno e al quale abbiamo partecipato con mia mamma.
Molto belle sono state le parole dell'amico Beppe Franzosi, di cui riporto il testo dell'intervento che ci ha davvero lasciati emozionati:

Un cordiale saluto a voi tutti e grazie per aver deciso di dedicare un po’ del vostro tempo per questo incontro.

E’ per me sempre una forte emozione parlare di Carlo Alberini, e mi farò quindi aiutare da una poesia di Emily Dickinson.
So che Egli esiste.
In qualche luogo - in Silenzio -
Ha nascosto la sua vita preziosa
Ai nostri occhi grossolani.
Incontrai Carlo nella seconda metà degli anni 70.
Entrai nella stanza che per sobrietà sembrava più la cella di un convento che l’ufficio del Direttore Regionale e incrociai subito lo sguardo di un uomo buono.
Carlo Albertini per me è stato soprattutto un uomo buono.

Non ho mai percepito, nei nostri rapporti, nessuna sopraffazione, nessuna forma di violenza.
Ho percepito solo mitezza, autorevolezza, rispetto, disponibilità, accoglienza e ascolto.
Ascolto soprattutto, quando ancor giovane i problemi sembravano assalirmi e non finire mai, in Carlo ho sempre trovato ascolto.
Il modo di ascoltare di Carlo era magnifico. Avvolgente.

E mi viene in mente una poesia di una bambina di nove anni che ho letto non so più dove ma che ho trascritto.
“Se tu mi tocchi con dolcezza e tenerezza
Se tu mi guardi e mi sorridi
Se qualche volta prima di parlare mi ascolti
Io crescerò, crescerò veramente” (Bradley, 9 anni)

Ecco, io con Carlo sono cresciuto, mi ha aiutato a crescere, e anche quando eravamo in disaccordo, mi ascoltava e mi correggeva con gentilezza.

Nel lavoro, la fretta, la tensione verso i risultati, accompagnata spesso da stress, non agevolano l’ascolto. Esso resta molte volte frettoloso, superficiale: quante volte ci troviamo a non ascoltare più, mentre ancora assentiamo o fingiamo di essere in ascolto? Oppure, mentre l’altro ci sta parlando, ci distogliamo pensando già a cosa rispondere?
Con Carlo non si poteva.
Lui ti ascoltava.

Per me Carlo fu una roccia sulla quale potevo appoggiarmi e di cui mi potevo fidare,
con la sua calma era come uno scoglio in mezzo ai frangenti.

Non perdeva la calma così facilmente come purtroppo capitava e capita a me.
Carlo sdrammatizzava tutto.
Aveva la capacità di resistere.
La sua stabilità gli rendeva possibile anche di fare concessioni, quando era il caso, e di non ostinarsi nei suoi punti di vista.
Era rispettoso del parere degli altri.

“Cecità” il romanzo di José Saramago inizia così:
"Se puoi vedere guarda. Se puoi guardare osserva."
E si racconta di una contagiosa forma di cecità che menomando la vista, menoma le coscienze portando nel buio dell’indifferenza e della sopraffazione gli abitanti di una intera città.
Invece, la cura per gli altri e il rispetto di sé necessitano di buoni occhi.

Ludwig Wittgenstein ha scritto: ”non parlare, guarda” cioè, non trasformare sempre le emozioni in parole, vedi nello sguardo, nei volti, a volte nelle lacrime.
Poiché il rispetto, il riguardo per qualcuno nasce da uno sguardo.
Rispettare è accorgersi, notare, fermare la propria attenzione, mentre il suo contrario è l’indifferenza, il non accorgersi, il calpestare ciò che si incontra sul cammino.
Carlo sapeva osservare, sapeva vedere gli altri.

E sapeva che gli altri esistono solo se possono ex-sistere cioè etimologicamente uscir fuori, mostrarsi, apparire, senza paura.
Il rispetto è anche riconoscimento, è il modo attraverso cui costruiamo a vicenda le condizioni per l’armonico sviluppo delle nostre identità personali.
Il rispetto consiste nel riconoscere e tutelare l’integrità personale dell’altro.
E’ la consapevolezza che ciò che davvero ci accomuna è la solitudine di ciascuno di noi: lì sboccia l’ascolto e la pronuncia sobria della parola.
Quanta sobrietà nelle parole, quanta attenzione per gli altri in Carlo…
E quanta calma, quanta sicurezza!
Perché la roccia sta fissa.

Non deve continuamente imporsi, affermare se stessa.
Ci sono giorni nella vita in cui non succede niente, giorni che passano senza nulla da ricordare, senza lasciare una traccia, quasi non si fossero vissuti.
Ma siamo fatti così: solo dopo si apprezza il prima e solo quando qualcosa o qualcuno è nel passato ci si rende meglio conto di come sarebbe importante averlo nel presente.
Ma non c’è più.

Si può allora intuire perché l’incontro con il ricordo è un incontro nel silenzio e nella solitudine come ben sanno la moglie e i figli di Carlo e si possono intuire i rischi di sovraccarico goffo e banale del parlare e del dire.

Il prof. Eugenio Borgna in un breve saggio, il patire dell’essere, così scrive:” guai se volessimo imporre alle cose che diciamo e che ascoltiamo, questa impronta assoluta e implacabile della parola che chiarisce tutto, anche i significati più riposti e segreti. L’area del silenzio, che è l’area dell’indicibile, dell’invisibile, dovrebbe vivere in ciascuno di noi…”

Occorre allora cercare un modo di parlare ispirato alla totale semplicità di quel silenzio rispettoso e amico di quel viso e di quegli occhi che ci hanno incontrati.
E uno dei modi per tenere vivo il suo ricordo è quello, per noi di Enaip di fare bene il nostro mestiere, quel mestiere che lui ci ha insegnato.

Ma se devo dire in sintesi che cosa mi ha davvero insegnato Carlo Alberini lo posso fare utilizzando queste parole di Frei Betto:
Non sprecare la tua vita, contaminando la tua lingua con le scorie dei tuoi commenti infondati sulla vita altrui. Preserva il tuo ambiente. Investi nella qualità della tua vita. Purifica lo spazio in cui ti muovi. Togli dai tuoi occhi le travi delle illusioni del potere, della fama e della ricchezza. Fallo, prima che tu diventi cieco. Non percorrere mai una strada priva di indicazioni etiche: è piena di buche e tranelli; potresti affossare il tuo cammino in uno di questi.
E’ con questo spirito che noi dobbiamo lavorare.

Passiamo tanto tempo a sognare. Il sogno ci aiuta a fuggire dalla banalità quotidiana, ci apre a possibilità di cambiamento e ci permette di vedere possibilità nuove.
Ma ci sono sogni e sogni.
Alcuni ci stimolano a fare, cambiare e impegnarci nel presente per costruire un futuro migliore e ci sono i sogni di evasione.
I primi ci caricano di energia, i secondi sono i sogni di chi si riduce a vivere delle sue fantasie.
Per noi, l’unico futuro è la possibilità che già esiste come un seme nel presente.

Sappiamo che non tutti i semi nasceranno ma possiamo comunque lavorare il terreno e gettarli affidandoli alla concreta storia di donne e uomini, perché le possibilità diventino realtà.
Non rimarremo delusi se rafforzeremo l’attitudine a continuare a seminare.
Se ogni volta che un progetto fallisce lasciamo prevalere lo sconforto e ci chiudiamo nel lamento, le nostre energie saranno assorbite nel buco nero del pessimismo e del vittimismo.

Nessun seminatore getterebbe mai le sementi se pensasse a tutti i grani che non nascono, a quelli divorati dagli uccelli o da quelli seccati al sole.
La vita non è bella quando tutto va bene ma quando sappiamo fare spazio a nuove possibilità, quando sappiamo costruire futuri ancorati al presente.

L’Enaip, - ci ricorda il Presidente delle Acli Andrea Olivero,- è nato per tenere sempre aperta per ogni persona, in qualsiasi momento della propria vita, la finestra dei saperi, delle competenze e delle professioni lavorative.

Nessuno deve sentirsi definitivamente sconfitto, perduto o escluso da una speranza di riscatto, nessuno arrivato alla meta, senza più nulla da dare o da apprendere.
Si va ripetendo poi, da più parti che la società del nuovo millennio sarà una buona società se saprà investire nell'intelligenza, una società in cui ciascun individuo potrà costruire la propria professione e personalità.
Sappiamo che la qualità dell’istruzione e della formazione rappresenta una priorità assoluta per il nostro Paese. E che il primo obiettivo da perseguire sarà quello di ridurre la dispersione e l’insuccesso scolastico.
Migliorare la qualità formativa significa per noi offrire una risposta fondamentale alla più ampia questione dell’emergenza educativa.
Quello che ci assilla, però in questi ultimi anni è una frenetica burocratizzazione del nostro lavoro che toglie troppe risorse ed energie al vero fine che sono le persone in carne ed ossa e che sono qualcosa di più di un registro ben compilato.
Noi a Biella, dobbiamo ancora definire compiutamente il nostro spazio, ma seppur piccoli, (come vedremo dall’esposizione della nostra attività) sappiamo di essere nani sulle spalle di giganti e che il nostro gigante buono era ed è Carlo Albertini.

Giuseppe Franzosi